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Liquidazione del danno per contraffazione di brevetto

Con una recente ordinanza emessa in data 2 marzo 2021, la Corte di Cassazione ha chiarito quali siano i criteri da utilizzarsi per determinare la liquidazione equitativa del danno da lucro cessante subito a seguito della violazione di un brevetto.

Recentemente è stata emessa dalla Corte di Cassazione un'interessante Ordinanza (n. 5666 del 2 marzo 2021[1]) che prende in considerazione la questione della liquidazione equitativa dei danni derivanti dalla contraffazione di un brevetto per invenzione industriale.

Il caso oggetto dell'Ordinanza riguardava la lamentata contraffazione di un brevetto di prodotto. La controversia è passata attraverso le sentenze di primo e secondo grado dove si è dibattuto rispettivamente della validità e della contraffazione del brevetto e del risarcimento dei danni. Le parti hanno successivamente presentato rispettivi ricorsi alla Corte di Cassazione richiedendo la revisione della sentenza di secondo grado.

Per quanto riguarda il risarcimento del danno, non essendo stato possibile definire compiutamente i danni subiti dalla contraffazione della privativa, il titolare del brevetto aveva proposto già in prima istanza una valutazione equitativa di tali danni proponendo l'applicazione di un criterio basato sulla "perdita reale di profitti", calcolato applicando il margine di profitto lordo del titolare del brevetto ai fatturati ottenuti dalle vendite dei prodotti contraffatti. Tale diverso criterio equitativo era stato tuttavia respinto dalla Corte di Appello, che aveva affermato che il titolare del brevetto non aveva dimostrato di aver subito un danno nella misura richiesta. La Corte di Appello aveva quindi liquidato il danno applicando il criterio della "giusta royalty".

L'Ordinanza qui in commento stabilisce un "nuovo" principio di diritto in tema di liquidazione equitativa dei danni alla luce di quanto stabilito dall'art. 125[2] del Codice di Proprietà Industriale (CPI) come rivisto a seguito del recepimento in Italia (con il D.Lgs. n. 140[3] del 16.03.2006) della Direttiva europea n. 2004/48[4] del 29.04.2004 (c.d. Direttiva Enforcement).

La Corte di Cassazione – quale premessa alla propria decisone – ha preso in considerazione il dettato dell'art. 125 CPI e ne ha commentato i rispettivi commi.

 L'art 125 CPI dispone al primo comma che il risarcimento del danno debba essere liquidato secondo le disposizioni di cui agli artt. 1223, 1226 e 1227 del Codice Civile, tenuto conto delle conseguenze economiche negative subite dal titolare del diritto leso ivi compreso il mancato guadagno, i benefici realizzati dall'autore della violazione nonché elementi diversi da quelli economici quali l'eventuale danno morale arrecato al titolare. Secondo la Corte di Cassazione tale norma prevede non solo di indennizzare il titolare del diritto leso ma di determinare il danno anche in un'ottica riparatoria giustificata dall'obiettivo di tutelare una corretta attività di mercato.

Il secondo comma dell'art 125 CPI detta una regola speciale di liquidazione equitativa prevedendo che la liquidazione del lucro cessante possa consistere (nei casi in cui non sia possibile provare l'esatto ammontare del danno subito) in una somma globale che sia stabilita in base agli atti di causa e a quanto se ne deriva. In questa circostanza il lucro cessante è determinato applicando il criterio della "giusta royalty" o "royalty virtuale" che l'autore della violazione avrebbe pagato al titolare del diritto leso nel caso in cui avesse richiesto una licenza per lo sfruttamento legittimo del diritto di privativa industriale. Tale criterio costituisce – ad avviso della Corte di Cassazione – un elemento di semplificazione nella liquidazione del danno e rappresenta il limite inferiore del risarcimento.

Il terzo comma dell'art. 125 CPI prevede che il titolare del diritto leso possa anche richiedere la restituzione degli utili realizzati dall'autore della violazione in alternativa al risarcimento del lucro cessante o nella misura in cui essi eccedono tale risarcimento. Ad avviso della Corte di Cassazione la disposizione di tale comma non ha solo una mera funzione riparatoria del risarcimento ma anche "una funzione, se non proprio sanzionatoria, diretta quantomeno ad impedire che il contraffattore possa arricchirsi mediante l'illecito consistito nell'indebito sfruttamento del diritto di proprietà intellettuale altrui". La Corte richiama al tal proposito una precedente sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (Cass. 16601/2017) in cui è riconosciuta anche una funzione sanzionatoria della liquidazione dei danni[5].

 Nel merito del ricorso, la Corte di Cassazione ha rilevato:

  1. che il titolare del brevetto aveva offerto un ragionevole criterio alternativo alla "giusta royalty" per determinare la misura del risarcimento che – se applicato – sarebbe stato più elevato, più equo ed efficace, e avrebbe tenuto conto di tutti gli aspetti pertinenti, come le conseguenze economiche negative, compresa la perdita di profitti per il titolare del brevetto e i benefici ottenuti illegalmente dall'autore della violazione e non avrebbe equiparato il contraffattore ad un legittimo licenziatario del brevetto, e
  2. che la decisione della Corte di Appello "risulta non conforme al disposto dell'art. 125 c.p.i., essendo sancito, dal comma 1 di questa previsione, che si debba sempre tener conto, nella liquidazione del danno, anche degli utili del contraffattore, e, dal comma 2, che il criterio della giusta royalty costituisca comunque una misura "minimale e residuale" nonché, dal comma 3, che, in via alternativa al risarcimento del danno da lucro cessante, il titolare del diritto leso possa chiedere la restituzione degli utili realizzati dal contraffattore".

 La Corte di Cassazione ha quindi ribaltato la decisione d'appello affermando il seguente principio di diritto:

"In tema di proprietà industriale, il titolare del diritto di privativa leso può chiedere di essere ristorato del danno patito invocando il criterio costituito dal margine di utile del titolare del brevetto applicato al fatturato dei prodotti contraffatti, realizzato dal contraffattore, di cui al D.Lgs. n. 30 del 2005, art. 125, (c.d. "codice della proprietà industriale", nel testo modificato dal D.Lgs. n. 140 del 2006, art. 17), alla luce del quale il danno va liquidato sempre tenendo conto degli utili realizzati in violazione del diritto, vale a dire considerando il margine di profitto conseguito, deducendo i costi sostenuti dal ricavo totale. In particolare, in tale ambito, il criterio della "giusta royalty" o "royalty virtuale" segna solo il limite inferiore del risarcimento del danno liquidato in via equitativa che però non può essere utilizzato a fronte dell'indicazione, da parte del danneggiato, di ulteriori e diversi ragionevoli criteri equitativi, il tutto nell'obiettivo di una piena riparazione del pregiudizio risentito dal titolare del diritto di proprietà intellettuale".

In merito alla richiesta del titolare – già svolta in appello – di raddoppiare o almeno aumentare la misura della royalty, la Corte di Cassazione ha riconosciuto che la giurisprudenza spesso considera equo un aumento ragionevole della royalty di riferimento del mercato, ma ha concluso che la legge non impone l'applicazione di tale aumento. In proposito la Corte ha richiamato una recente sentenza della Corte di Giustizia europea (C 367/2015 del 25.01.2017) nonché l'art. 13 della Direttiva Enforcement stabilendo che non vi sono specifici riferimenti normativi da cui dedurre una doverosità della maggiorazione della royalty normalmente applicata nel mercato di riferimento.

In sintesi, la presente Ordinanza stabilisce che il titolare di una privativa industriale contraffatta può richiedere la determinazione del danno subito in base al criterio del c.d. “lucro cessante reale“, corrispondente alla somma che avrebbe ricavato il titolare del brevetto “se avesse venduto lui (invece del contraffattore) i prodotti contraffattori al medesimo prezzo a cui li ha invece commercializzati il contraffattore“, attraverso l’applicazione del proprio margine di utile lordo (MOL, incrementale) al fatturato del contraffattore, il tutto nell’obiettivo di una piena riparazione del pregiudizio risentito dal titolare del diritto di proprietà intellettuale.

Cristina Freyria Fava

 

[1] Il testo dell'Ordinanza n. 5666 è scaricabile al seguente link: https://Cassazione-civile-ordinanza-5666-2021.

[2] Il dispositivo dell'art. 125 CPI (Risarcimento del danno e restituzione dei profitti dell'autore della violazione) recita:

  1. Il risarcimento dovuto al danneggiato è liquidato secondo le disposizioni degli articoli 1223, 1226 e 1227 del codice civile, tenuto conto di tutti gli aspetti pertinenti, quali le conseguenze economiche negative, compreso il mancato guadagno, del titolare del diritto leso, i benefici realizzati dall'autore della violazione e, nei casi appropriati, elementi diversi da quelli economici, come il danno morale arrecato al titolare del diritto dalla violazione.
  2. La sentenza che provvede sul risarcimento dei danni può farne la liquidazione in una somma globale stabilita in base agli atti della causa e alle presunzioni che ne derivano. In questo caso il lucro cessante è comunque determinato in un importo non inferiore a quello dei canoni che l'autore della violazione avrebbe dovuto pagare, qualora avesse ottenuto una licenza dal titolare del diritto leso.
  3. In ogni caso il titolare del diritto leso può chiedere la restituzione degli utili realizzati dall'autore della violazione, in alternativa al risarcimento del lucro cessante o nella misura in cui essi eccedono tale risarcimento

[3] Il testo del D.Lgs. n. 140 del 16.03.2006 è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 07.04.2006, cfr. https://www.gazzettaufficiale.it/atto/serie_generale/attuazione direttiva 2004/48/CE.

[4] Il testo della Direttiva Enforcement è consultabile al link: https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/Direttiva Enforcement.

[5] Dove si legge:

"alla responsabilità civile non è assegnato solo il compito di restaurare la sfera patrimoniale del soggetto che ha subito la lesione, poiché sono interne al sistema la funzione di deterrenza e quella sanzionatoria del responsabile civile, sicché non è ontologicamente incompatibile con l'ordinamento italiano l'istituto, di origine statunitense, dei risarcimenti punitivi", purché la misura si regga "su basi normative che garantiscano la tipicità delle ipotesi di condanna, la prevedibilità della stessa ed i suoi limiti quantitativi" (Cass. Civ., Sez. Un., 5 luglio 2017, n.16601.

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