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I brevetti all'epoca del Covid

La proposta di “sospendere” i diritti brevettuali concernenti vaccini e farmaci anti-Covid19 al fine di permettere il necessario approvvigionamento di tali prodotti per risolvere la crisi da coronavirus non pare tenere in conto il fatto che la normativa internazionale e nazionale prevede da lungo tempo la licenza obbligatoria quale strumento legalmente valido e efficace cui eventualmente ricorrere in situazioni come la crisi da coronavirus.

 

Nelle ultime settimane si è parlato molto della possibilità di "sospendere" l'efficacia dei brevetti su vaccini e farmaci anti-Covid19 con l'obiettivo di trovare una soluzione all'attuale situazione pandemica. Il presidente degli Stati Uniti ha proposto di privare dei diritti brevettuali le case farmaceutiche che hanno sviluppato vaccini e farmaci anti-Covid19 al fine di rendere più agevole l'accesso alle terapie profilattiche per l'infezione da coronavirus. Alla proposta lanciata dagli Stati Uniti si sono unite le voci di esponenti di vari Stati europei, tra cui l'Italia, nonché di alcune personalità di spicco dell'Unione Europea.

 

Per quanto riguarda l'Unione Europea (UE), la proposta, dettata da evidenti considerazioni di natura emozionale, di “sospendere” i brevetti sui vaccini finisce per porsi in singolare contrasto proprio con il piano d'azione sulla proprietà intellettuale pubblicato nel novembre 2020 dalla Commissione dell'UE[1] per promuovere l'innovazione e la protezione degli investimenti delle aziende. La Commissione riconosce infatti che un quadro affidabile di proprietà intellettuale costituisce lo strumento migliore per incentivare la ricerca. Senza la protezione delle idee, le imprese non raccoglierebbero i benefici delle loro invenzioni e di conseguenza investirebbero minori risorse economiche e umane nella ricerca e sviluppo riducendo sensibilmente la disponibilità di prodotti innovativi e utili alla comunità, tra cui evidentemente i prodotti farmaceutici. Non a caso, il divieto di brevettazione dei prodotti farmaceutici, mantenuto in Italia sino a una sentenza della Corte di Cassazione del 1978, e definitivamente rimosso dalla normativa nazionale con la riforma del 1979, ha finito per giocare un ruolo ostativo nei confronti dello sviluppo dell’industria nazionale del settore.

Peraltro, l’esigenza di far sì che il ruolo di stimolo all’innovazione svolto dai brevetti possa esplicare i suoi effetti benefici anche in situazioni di crisi è da sempre presente in modo costante al legislatore, sin dai primordi della normativa sui brevetti. Al riguardo di può far riferimento all'Accordo TRIPs (Agreement on Trade-related Aspects of Intellectual Property Rights), stipulato nel 1994 tra i Paesi aderenti all'Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC), destinato a disciplinare la proprietà intellettuale quale fattore di funzionamento del libero commercio internazionale.

L'Accordo TRIPs intende garantire che siano applicati adeguati standard di tutela della proprietà intellettuale in tutti i Paesi membri, richiamando gli obblighi e i principi elaborati dall'Organizzazione Mondiale della Proprietà Intellettuale (OMPI) e nelle convenzioni e trattati multilaterali destinati ad armonizzare la materia sul piano internazionale.

Proprio perché il legislatore ha da sempre presente l’esigenza di fare in modo che il ruolo di stimolo all’innovazione svolto dai brevetti possa esplicare i suoi effetti benefici anche in situazioni di crisi, l'Accordo TRIPs contempla diverse forme specifiche di limitazione della tutela brevettuale: l'articolo 31[2] concede infatti ai Paesi membri la possibilità di prevedere "altri usi" dell'oggetto di un brevetto senza che sia necessario il consenso del titolare, a patto che tali usi non siano in contrasto con il normale sfruttamento del brevetto e non pregiudichino in modo ingiustificato gli interessi del titolare. In questo quadro rientrano le licenze obbligatorie[3], che – sebbene non espressamente disciplinate nell'Accordo TRIPs – rientrano nella categoria degli "usi senza il consenso" del titolare del brevetto.  

Nell'ordinamento italiano l'istituto della licenza obbligatoria è disciplinato dagli articoli 70-74 del Codice di Proprietà Industriale (CPI), che si rifanno a norme introdotte nel nostro ordinamento già dagli anni ’60 del XX secolo.

L'articolo 70 CPI stabilisce che " [t]rascorsi tre anni dalla data di rilascio del brevetto o quattro anni dalla data di deposito della domanda […], qualora il titolare del brevetto […], non abbia attuato l'invenzione brevettata, […], ovvero l'abbia attuata in misura tale da risultare in grave sproporzione con i bisogni del Paese, può essere concessa licenza obbligatoria per l'uso non esclusivo dell'invenzione medesima, a favore di ogni interessato che ne faccia richiesta" (enfasi aggiunta). L'articolo 72 CPI prevede che la licenza obbligatoria possa essere concessa ad un soggetto interessato a patto che questo provi "di essersi preventivamente rivolto al titolare del brevetto e di non avere potuto ottenere da questi una licenza contrattuale ad eque condizioni".

Ad una prima lettura di tali articoli parrebbero sussistere poche probabilità di ottenere la concessione di una licenza obbligatoria in quanto sarebbe necessario fornire la prova del vano tentativo di ottenere la preventiva autorizzazione all'uso del brevetto da parte del titolare e sarebbe peraltro necessario attendere alcuni anni dalla data di deposito/rilascio del brevetto.

Tuttavia, la lettera b) dell'articolo 31 dell'Accordo TRIPs prevede che questo obbligo possa essere derogato; è infatti stabilito che "un [paese] membro può derogare a questo requisito nel caso di un'emergenza nazionale o di altre circostanze di estrema urgenza" (enfasi aggiunta).

La crisi del coronavirus rappresenta certamente una situazione di emergenza nazionale e/o di estrema urgenza e ciò legittimerebbe – ai sensi dell'articolo 31 dell'Accordo TRIPs – l'Italia (e i Paesi membri dell'OMC che prevedono nella propria legislazione la licenza obbligatoria) ad autorizzare la concessione di licenze obbligatorie per la produzione e l'esportazione di farmaci e vaccini brevettati o in corso di brevettazione per la prevenzione e la terapia di tale infezione anche senza il consenso dei titolari di tali privative.

Volendola dire in modo semplice – il legislatore, nazionale e internazionale, "ci aveva già pensato". Il che non stupisce: il diritto dei brevetti nasce alla fine del ‘700, figlio della rivoluzione americana e della rivoluzione francese, e da allora ha saputo fare tesoro di tante esperienze, anche in periodi di crisi quali conflitti e emergenze sanitarie. La legislazione attualmente vigente in tema di proprietà intellettuale mette già a disposizione strumenti che permettono di garantire l'approvvigionamento dei prodotti farmaceutici di interesse, senza dover introdurre nuove norme e istituti per regolamentare una "sospensione" dei diritti brevettuali.

In modo indipendente dal fatto che, come si è visto, il legislatore ci ha già pensato da lungo tempo, la proposta di “sospendere” i brevetti sui vaccini oltretutto non pare poi cogliere un aspetto essenziale. Non sono infatti i brevetti, o la proprietà intellettuale in senso lato, a rendere difficile l'approvvigionamento dei vaccini anti-Covid19[4] ma le oggettive difficoltà di produzione. In altre parole, non siamo in una situazione in cui c’è chi potrebbe produrre vaccini in grande quantità e non può farlo perché i titolari di uno o più brevetti gli impediscono di farlo[5].    

Non si sta infatti parlando di vaccini "standard" (ad esempio, vaccini a subunità o vaccini con antigeni sintetici) bensì di vaccini a DNA (AstraZeneca) e a mRNA (Pfizer e Moderna) che sono realizzati sfruttando tecnologie estremamente sofisticate e innovative per cui giocano un ruolo fondamentale gli impianti industriali, anch'essi sofisticati e non necessariamente già disponibili presso tutte le aziende farmaceutiche, e il know-how non brevettato e segreto ovvero le conoscenze e le abilità operative necessarie per la produzione di tali prodotti.

È quindi evidente che l'ipotetica "sospensione" dei brevetti non metterebbe le aziende farmaceutiche non titolari di tali brevetti in condizioni di approvvigionare gli Stati con le necessarie quantità di vaccini utili a proteggere le rispettive popolazioni. In queste circostanze gli Stati dovrebbero sostenere anche economicamente gli investimenti necessari per la realizzazione di opportuni impianti di produzione affinché le aziende farmaceutiche locali possano essere in grado di produrre (e non solo di confezionare) tali prodotti, promuovendo la concessione di licenze obbligatorie attraverso contratti di licenza che prevedano anche il trasferimento del know-how necessario per la produzione cosicché anche questo tipo di informazione sia messa a disposizione delle aziende interessate a tale attività.

Cristina Freyria Fava

 

[1] https://ec.europa.eu/transparency/regdoc/rep/1/2020/IT/COM-2020-760-F1-IT-MAIN-PART-1.PDF

[2] https://www.wto.org/english/docs_e/legal_e/27-trips_04c_e.htm

[3] Attraverso la licenza obbligatoria la Pubblica amministrazione di uno Stato può far sì che il titolare di un brevetto conceda l’uso non esclusivo allo Stato o ad altri soggetti che ne abbiano fatto espressa richiesta. La licenza obbligatoria prevede che il licenziatario provveda al pagamento di una royalty al titolare del brevetto. Ai sensi della legge italiana, la richiesta per una licenza obbligatoria comporta il deposito di una Istanza all'Ufficio Italiano Brevetti e Marchi ed è assoggettata al pagamento di una tassa amministrativa.

[4] Per quanto riguarda i farmaci siamo ancora lontani all'avere individuato o inventato composti chimici che abbiano efficacia nei confronti del coronavirus. Pfizer ha comunicato recentemente di avere messo a punto un medicinale a piccola molecola capace di bloccare la replicazione del virus, tuttavia al momento non ha ancora dato inizio ad alcuno studio clinico su tale prodotto (cfr. https://www.wsj.com/articles/pfizer-identifies-lead-coronavirus-drug-candidate-11586427303).

[5] Oltretutto, il relativo provvedimento restrittivo potrebbe essere (eventualmente) emesso solo da un tribunale a seguito di una valutazione ponderata delle circostanze.

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